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Gesù risorto, una presenza nell'assenza
A cura di Vienna International Religious Centre
Quando san Giovanni scriveva il suo vangelo, era uno dei pochi discepoli ancora viventi che avevano conosciuto il Signore. I primi destinatari del quarto vangelo non si trovavano dunque in una situazione diversa dalla nostra: anch'essi dovevano cercare soltanto nella fede la certezza che il risorto è presente dovunque nel mondo, ma in un modo del tutto particolare, con una "presenza nell'assenza". Dobbiamo confessare che facciamo molta fatica a vivere questa realtà: più o meno consapevolmente, portiamo sempre dentro di noi il vecchio sogno di un regno visibile e ben localizzabile.
Eppure dovremmo sapere che, ritornando al Padre, il Cristo non ha cessato di agire. La morte non ha interrotto l'azione feconda della sua parola nel mondo, che era appena iniziata. Ma bisognava che egli se ne andasse perché questa parola, liberata da ogni limite di tempo e di luogo, si diffondesse su tutta la terra, si acclimatasse sotto ogni cielo, germogliasse e portasse frutto fuori dal suo terreno d'origine, dovunque trovasse un solco pronto ad accoglierla. Si tratta ormai di una parola vivente, animata dallo Spirito che richiede e stimola la nostra iniziativa e ci spinge, non a ripetere senza stancarci, ma a cercare nuovi significati, a sviluppare implicazioni inedite, che verranno alla luce nella misura in cui faremo riferimento al vangelo per giudicare le situazioni, per decidere le nostre scelte, per agire.
Il tempo della presenza nell'assenza, dunque, è anche quello della nostra responsabilità: senza irrigidirci su posizioni già acquisite, dobbiamo assumere, nella fede e nella speranza, il rischio di dare risposte coraggiose ai problemi sempre nuovi che la vita ci pone. È un rischio che bisogna correre nello Spirito. La nostra condizione è esaltante e meravigliosa: "Abbiamo deciso, lo Spirito santo e noi..." (At 15,28).