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"IL VERBO SI E’ FATTO CARNE
E POSE LA SUA DIMORA IN MEZZO A NOI"
"Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia perché non c’era posto per loro nell’albergo"
(Vangelo di Luca, 2, 6-7)
"E’ un giorno qualunque della fine di marzo a Nazareth, villaggio senza alcuna importanza adagiato sulle prime alture, a metà strada tra il mare e il lago di Galilea.
Una fanciulla di tredici o quattordici anni di nome Maria, sta tornando alla sua casa in cima alla salita, recando sul capo la brocca che ha riempito alla fontana. Un angelo, il messaggero di un Dio infinitamente potente e addolorato, la ferma e le annuncia che concepirà a partorirà un figlio al quale metterà nome Gesù.
Il corpo di Maria è vergine, ma la fanciulla è consapevole di come debba compiersi l’atto che trasmette la vita.La sua voce pura si alza con innocente fermezza: "Come avverrà questo? Io non conosco uomo".
C’è tale dignità e pudore di donna nelle parole di Maria che la risposta dell’angelo sembra una imbarazzata giustificazione della potenza e della tenerezza di quel Dio lontano che viene a chiedere l’impossibile a un’umile creatura umana: "Niente è impossibile a Dio" – si giustifica l’angelo.
Maria acconsente, avvampando di gioia e di timore, e in quell’istante sembra davvero che sul mondo cominci a sorgere la luce di un nuovo giorno in cui sarà possibile sperare che il pianto di Eva sui figli nati dalla carne, si trasformi in un sorriso di madre, e che la morte, conseguenza del peccato e della colpa, possa essere sconfitta per sempre."
(Ferruccio Parazzoli)
"La Vergine è pallida e guarda il bambino. Quel che bisognerebbe dipingere sul suo volto, è una meraviglia ansiosa che non è comparsa che una volta su una fisionomia umana. Perché il Cristo è suo figlio, la carne della sua carne e il frutto delle sue viscere. Ella lo ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E sul momento la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. LO stringe nelle sue braccia e gli dice: "Piccolo mio".
Ma in altri momenti resta interdetta e pensa: "Dio è là", ed è presa da un timore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante.
Ma io penso che vi siano anche degli altri momenti, rapidi e fuggevoli, in cui lei sente al tempo stesso che il Cristo è suo Figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa: "Questo Dio è il mio bambino. Questa carne divina è la mia carne. Egli è fatto di me, ha i miei occhi,e questa forma della sua bocca è la forma della mia, mi assomiglia. Egli è Dio e mi assomiglia.
E nessuna donna ha avuto in tal modo il suo Dio per sé sola, un Dio piccolino che si può prendere tra le braccia e coprire di baci, un Dio tutto caldo che sorride e che respira, un Dio che si può toccare e che ride.
Ed è in uno di questi momenti che io dipingerei Maria se fossi pittore.
(Jean Paul Sartre)
"Natale. Guardo il presepe scolpito, dove sono i pastori appena giunti alla povera stalla di Betlemme. Anche i re magi nelle lunghe vesti Salutano il potente Re del mondo. Pace nella finzione e nel silenzio Delle figure di legno; ecco i vecchi Del villaggio e la stella che risplende, e l’asinello di colore azzurro. Pace nel cuore di Cristo in eterno; ma non v’è pace nel cuore dell’uomo. Anche con Cristo e sono venti secoli Il fratello si scaglia sul fratello. Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino Che morirà per noi in croce tra due ladri?"
(Salvatore Quasimodo)
IL Natale mi suggerisce di riprendere il dialogo con quanti hanno seguito la rubrica "Sulle tracce di Dio", nelle puntate dello scorso anno, dedicate ad analizzare il pensiero e le posizioni di alcuni scrittori e filosofi.
Porto all’attenzione di chi leggerà, quattro brani di Autori: il brano evangelico di san Luca su cui si fonda la nostra fede nel mistero dell’Incarnazione; un brano di Ferruccio Parazzoli, tratto dalla "Vita di Gesù", in cui ha voluto ripercorrere le tappe di una storia misteriosa, ove il cielo e la terra s’incontrano, Dio si fa nostro compagno di strada per indicarci i sentieri che conducono a Dio.
Il terzo brano forse è il più commovente, perché uscito dal cuore e dalla penna di Sartre, la cui professione di ateismo – espressa però con alto senso di ricerca in tutte le sue opere – contrasta con i sentimenti di questa dolcissima pericope ove l’umano e il divino si danno la mano; ove i riflessi sentimentali del cuore di Maria sono espressi con squisita delicatezza.
La poesia che chiude questa piccola rassegna, di Salvatore Quasimodo, rimanda al presepe, all’umiltà della nascita del Signore; al riconoscimento della sua divinità da parte dei saggi d’Oriente. Soprattutto rimanda alla durezza del cuore umano che, dopo duemila anni dalla nascita del Figlio di Dio, non riesce a capire e a vivere il gran dono portato da Gesù: la pace interiore, la pace tra fratelli, tra famiglie, tra nazioni.
Voglio aggiungere alcuni versi di Dante, tratti dal Canto VII del Paradiso, che bene illustrano, anche teologicamente, il mistero della venuta del Redentore:
"Per non soffrire alla virtù che vuole danno a suo prode, quell’uom che non nacque dannando sé, dannò tutta sua prole, onde l’umana specie inferma giacque giù per secoli molti, in grande errore, fin ch’al Verbo di Dio discender piacque u’ la natura, che dal suo fattore s’era allungata, unì a sé in persona con l’atto sol del suo eterno Amore".
Lo Spiroto Santo, l’Eterno Amore possa trasformare i nostri cuori, rendendo il Natale non il bordello del consumismo e il trionfo del ventre ma la festa della pace: quella pace "che il mondo irride/ ma che rapir non può"
Carmine Scaravaglione