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OMAGGIO A MARIA, "DONNA GENTIL"
(seconda parte)
a cura di Mons. Carmine Scaravaglione
- 20 Gennaio 2003-
Al vertice della poesia italiana ( e forse mondiale) sono scolpiti tre nomi che percorreranno i secoli senza mai poter essere dimenticati: Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccia. Su tutti però, "come aquila vola", l'Autore del Poema "cui han posto mano cielo e terra": il genio di Dante.
In questa seconda parte di "Omaggio a Maria", cominciamo proprio da lui, cercando le cose più belle che ha scritto pensando a Maria. Sommo poeta ma anche profondo teologo, DANTE ALIGHIERI (1265-1321) subì l'incanto della bellezza e della santità delle Vergine Madre e fu grato a lei per avergli indicato la via della salvezza, dopo averlo liberato dalla "selva oscura" e dall'orribile esperienza delle tre fiere che, a Lui, immerso nel peccato, ostacolavano il cammino "verso l'ultima salute".
Egli stesso confessa la sua devozione mariana:
"Il nome del bel fior, ch'io sempre invoco e mane e sera" (Par., XXIII, 88)
e, lungo tutto il viaggio ultraterreno, si sente affidato alla sua mani ed alla sua protezione, attraverso la presenza di Beatrice, invitata da s. Lucia, mandata da Maria, a ridestargli la speranza della salvezza eterna.
"Donna è gentil nel ciel che si compiange di questo impedimento ov'io ti mando sì che duro giudicio lassù frange" (Inf., II, 93-95).
Nell'Inferno, il Poeta non fa mai il nome di Maria. Nel Purgatorio invece Ella è presente in ogni balza, efficacissimo antidoto alle passioni umane che, in quel luogo, si devono espiare. Gli episodi della vita di Maria sono effigiati e commentati diffusamente: l'Annunciazione (Purg., X, 34-35); la visita a s. Elisabetta (Purg., XVIII, 100); il Natale che viene visto come testimonianza di povertà da parte di Maria (Purg., XX, 19-24); ma, sempre nel Purgatorio, spicca l'episodio di Buonconte da Montefeltro, dove la mediazione della Madonna "per una lacrimetta" di Buonconte morente, e conteso dal diavolo e dal suo angelo, fa trionfare la misericordia e il guerriero peccatore è liberato dall'eterna dannazione.
"Quivi perdei la vista e la parola, nel nome di Maria finii, e quivi caddi, e rimase la mia carne sola" (Purg., V, 100 ss.)
IL Paradiso è tutto impregnato della presenza della Madre di Dio, anche se Ella e nominata in tre episodi: Con deliziosa espressione è ricordata l'Incarnazione del Verno nel grembo di Maria:
"Quivi è la rosa in che il Verbo divino carne si fece" (Par., XXIII, 73)
I Beati, in cielo, in tutte le celesti sfere, cantano in onore di Maria, ed il Poeta si sente ricolmo di gaudio spirituale:
"Regina coeli cantando sì dolce che mai da me non si partì il diletto" (Par., XXII, 128)
Così viene anche ricordata l'Assunzione al cielo di Maria con una delicata terzina che viene messa in bocca all'apostolo Giovanni:
"Con le due stole nel beato chiostro son le due luci sole che saliro; e questo apporterai nel mondo vostro" (Par. XXV, 127)
Giunto alla fine del suo lungo viaggio, del suo pellegrinaggio ultraterreno, nella candida rosa dell'Empireo, Dante sembrerebbe pronto per rivolgersi direttamente a Colei che considera Madre e Protettrice. Sembrerebbe che l'impeto spirituale del suo animo debba esplodere nella visione di Maria e, soprattutto, nell'intuizione del mistero della ss. Trinità del quale, dopo averlo contemplato "ictu oculi", non sa più dire alcunchè con le povere parole del linguaggio umano.
Si sente impari a rivolgersi direttamente alla Regine del cielo e si affida ad un grande devoto di Maria, san Bernardo di Chiaravalle, ponendo sulla labbra di questo gran santo, quelle eccezionali terzine che sono il vertice, forse, delle preghiere composte dagli uomini.
Sono sette terzine - che iniziano il centesimo ed ultimo canto della "Divina Commedia" - dense, dolcissime, teologicamente e liturgicamente esatte da indurre i Padri del Concilio Vaticano II, a introdurle nella liturgia della Chiesa,come inno all'ufficio delle letture, nelle feste della Beata Vergine.
Sono talmente note che non le riportiamo tutte, affidando all'ultima delle sette, di ricapitolare ciò che Maria fu per Dante ma anche ciò che Maria è per tutti i secoli, la dolcissima Vergine Madre; la Mediatrice di tutte le grazia; l'onnipotente per grazia; Colei i cui occhi dallo stesso Dio, sono "diletti e venerati":
"In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontade" (Par., XXXIII, 19-21).
Maria ebbe in Dante non solo il vate più alto, che seppe far vibrare le corde del sentimento dei cuori umani nelle generazioni che si sono susseguite nel fluire dei secoli. Ella ebbe nel grande fiorentino un uomo capace di abbandonare gli ingannevoli piaceri dell'orgoglio, ma soprattutto della carne, attratto dalla diafana purezza della Donna "umile e alta più che creatura". Dante non avrebbe raggiunto le profondità misteriose di Dio se non attraverso l'efficace mediazione di Maria.
FRANCESCO PETRARCA (Arezzo 1304 - Arquà 1373) fu uomo di vastissima cultura classica e di grande sensibilità e umanità. Ciò non gli ha evitato di cadere anche lui - uomo come gli altri - nelle spire del peccato. Convinta e profonda era la sua religiosità; si trovò tuttavia in continua altalena tra la scelta di Dio e l'amore umano. Anche nei momenti di maggiore debolezza morale, mai si lasciò completamente andare, come testimoniano i suoi frequenti ricorsi a Dio nel "Canzoniere", per essere liberato dalla schiavitù morale e dalla soggezione al peccato; i suoi salmi penitenziali; la corrispondenza con il fratello, monaco certosino, che viveva a Grenoble.
Scrivendo ad un amico fraterno, il frate Luigi Marsili, così termina la sua lettera: "Raccomandami a Cristo ogni volta che Egli ti ammette al suo divino banchetto ". I morsi delle passione e della carne lo assalivano all'improvviso e con estrema violenza e densità. Riusciva a placarsi negli studi, nella poesia, soprattutto nella preghiera. Consapevole della sua debolezza, si mette di continuo in condizioni di umiltà al cospetto di Dio e ne implora il perdono. Nella Lettera I (che fa parte delle Lettere senili) indirizzata a Giovanni Boccaccio, il Petrarca così scrive: "...Quanto (è necessario che) si debbano venerare la Vergine Madre Maria ed il nato da Lei, il Redentore del mondo, vero uomo e vero Iddio ".
Il canto più alto e ispirato di Francesco Petrarca a Maria è senza dubbio 1' "Ode alla Vergine", l'ultima del "'Canzoniere", preceduta da due sonetti, nei quali implora la misericordia di Dio. Sentendo l'approssimarsi della morte così si esprime:
"A quel poco dì vita che m'avanza ed al morir, degni essere tua man presta; tu sai ben che 'n altrui non ho speranza".
L' "Ode alla Vergine" non è comunque una composizione occasionale; nasce invece dal clima interiore di umiltà e di amore per Maria e rappresenta l'altissimo canto del cigno prima di abbandonarsi definitivamente nella braccia misericordiose di Lei che lo condurranno a Dio.
Canto del cigno pieno di amore, appassionato, melodico, forse scritto con le lacrime agli occhi o dinanzi ad un'immagine di Colei che, nella vita, pur tra le cadute nel peccato, aveva amato e venerato.
L' Ode si compone di dieci strofe, ciascuna di tredici versi, più un'undicesima di sette versi. In tutto centotrentasette endecasillabi. E' - oltre che altissima lirica - anche un vero trattato teologico. Un incalzare di lodi così vivaci e significative da stupire e commuovere.
Non è possibile riportarla tutta; occuperebbe molto spazio. Se qualcuno degli eventuali lettori volesse conoscerla, essa si trova facilmente o nel "Canzoniere" o in qualche antologia non "modernissima".
Riportiamo la prima strofe e - di seguito - tutte le invocazioni iniziali delle altre dieci.
"Vergine bella, che di sol vestita coronata di stelle, al Sommo sole piacesti sì che 'n te sua luce ascose, amar mi spinge a dir dì te parole; ma non so incominciar senza tu' aita e di Colui che 'amando in te si pose. Invoco lei che ben sempre rispose Chi la chiamò con fede: Vergine, s 'a mercede Miseria estrema delle umane cose Giammai ti valse, al mio prego t'inchina; soccorri alla mia guerra; bench 'io sia terra, e tu del ciel Regina". Ed ecco le qualifiche iniziali delle altre strofe: " Vergine saggia. Vergine pura, d'ogni parte intera... Vergine santa, d'ogni grazia piena.,. Vergine sola al mondo, senza esempio".. Vergine chiara e stabile in eterno... Vergine sacra ed alma... Vergine, in cui ho tutta mia speranza... Vergine umana e nemica d'orgoglio... Vergine unica e sola...
E gli ultimi tre versi dell'ultima strofe: "Raccomandami al tuo Figliuol, verace uomo e verace Dio, ch 'accolga il mio spirto ultimo in pace".
GIOVANNI BOCCACCIO (Certaldo 1313-1376) fra i tre grandi, appare -a prima vista - come il più "laico": E questa impressione confermano sia la sua vita sia i suoi scritti. Celeberrimo è il suo "Decameron" sul quale non ci soffermiamo perché conosciuto da tutti. La sua licenziosità non è comunque disprezzo di Dio. E' anch'egli - come il Petrarca - pencolante tra i richiami del mondo e gli ideali della fede e della vita religiosa. Di questo dissidio inferiore egli scrisse in versi ed in prosa.
A noi comunque interessa, in questo contesto, sapere e vedere come il Boccaccio si sia rapportato a Maria, della quale - come vedremo - non può fare a meno.
Tra quanto egli ha scritto in onore di Maria, abbiamo due delicati sonetti dai quali emerge la sua pietà filiale e la sua devozione alla Madonna.
IL primo loda Maria perché divenne Madre di Dio non per le sue qualità esteriori, per la sua avvenenza, per la bellezza divina dei suoi occhi o per altri motivi simili a questi; ma solo per la sua umiltà, per l'essersi professata "ancilla Domini"; per aver detto si all'annuncio di Gabriele.
"Non treccia d'oro, non d'occhi vaghezza, non costume reale, nè leggiadria, non giovinetta età, non melodia, non angelico aspetto nè bellezza, potè tirar dalla sovrana altezza il Re del ciel in questa vita ria ad incarnar in Te, dolce Maria, madre di grazia e specchio d'allegrezza, Ma l'umiltà tua, la qual fu tanta Che potè romper ogni antico sdegno Tra Dio e noi, e far il cielo aprire. Quella ne presta dunque, Madre santa, sì che possiamo al tuo beato regno, seguendo lei divoti, ancor salire".
Il secondo sonetto è un'appassionata preghiera a Maria perché gli tolga davanti il demonio con tutte le sue insidie perché, nonostante i suoi molti peccati, egli ha sempre sperato in Lei, e in Lei sola.
"O Regina degli Angeli, o Maria, ch'adorni il ciel con i tuoi lieti sembianti, e stella in mar dirizzi i naviganti a port' e segno di diritta vìa. Per la gloria che sei, Vergine pia, ti prego guarda a miei miseri pianti. Increscati dì me, to'mi davanti L'insidie di colui che mi travia. IO spero in te, et ò sempre sperato, vagliami il lungo amor e riverente, il qual ti porto et ò sempre portato. Dirizza il mio cammin, fammi possente Di divenir ancor dal destro lato Del tuo Figliuolo fra la beata gente".
Per dare un ulteriore tocco di sensibilità religiosa al Boccaccio che, abitualmente passa per un precorritore dell'attuale ignobile pornografìa, aggiungiamo che, nel "Garbacelo", il Poeta attribuisce a "speciale grazia" di Maria, la liberazione dalla lussuria che lo aveva lungamente perseguitato. E lo spirito che gli comparve spiega che a salvarlo, nonostante le sue continue infedeltà, è stata proprio Maria:
"Sempre, qual che stata si sia la tua vita, hai speziale riverenza e devozione in Colei nel cui ventre si raccolse la nostra salute e che è viva fontana di misericordia e madre di grazia e di pietade; e in lei, sì come in termine fisso, avesti sempre ferma speranza".
In giovanissima età, la figlia Violetta si spense lasciando il padre nella disperazione. Anche in quella tremenda occasione, la sofferenza e le lacrime del Poeta sono lenite dalla dolce e confortante presenza di Maria.
Crediamo di poter terminare questo nostro "Omaggio a Maria", invitando quanti avranno la bontà di leggere queste righe, a rivedere la propria vita. A riflettere su quale posto occupa la Madonna nella propria esistenza. Non saranno le feste mariane, spesso vissute paganamente; non saranno le offerte che spesso si fanno, quasi a voler mettere in pace la propria coscienza; solo una vera devozione, fondata sull'umiltà, sulla preghiera, sulla recita del Rosario, potranno darci le ali per salire con Maria - come Dante, Petrarca, Boccaccio - nonostante i nostri peccati, nella braccia paterne della divina misericordia.
Carmine Scaravaglione