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OMAGGIO A MARIA
Seicento e Settecento
(Quarta Parte)
a cura di Mons. Carmine Scaravaglione
- 27 Maggio 2003-
Anche se a distanza dall'ultima puntata su Maria - le occupazioni sono tante - riprendo il filo del discorso per portare a termine (siamo nel mese dedicato alla Vergine) quanto a Lei dedicato dalla poesia italiana di tutti i tempi, scegliendo quelle liriche e quegli Autori che maggiormente hanno parlato e lodato la Madre di Dio.
Dopo i secoli dell'Umanesimo e del Rinascimento, il periodo che stiamo per trattare - i secoli XVII e XVIII - denota una specie di infiacchimento, almeno per quanto riguarda la letteratura: una desolante decadenza che spesso cerca di nascondersi dietro espressioni leziose, ricercate, mirabolanti.
Ciò che invece non accade nell'architettura e nella pittura, dove il barocco offre grandi capolavori.
Come rimedio a delle forme letterarie fredde e impacciate, sorge a Roma e in Italia un movimento che cerca di rinnovare il tutto mirando alla semplicità delle forme e della vita. Come punto di riferimento si sceglie la vita bucolica dei pastori, riandando a Virgilio ed alla riposante visione delle campagne di Grecia. Questo movimento venne denominato "Arcadia" e sotto questo nome venne fondata, a Roma, l'Accademia dell'Arcadia, nel 1690, dal circolo culturale che faceva capo a Cristina di Svezia (1626-1689).
Dopo questa doverosa introduzione, per capire il periodo storico-letterario di cui ci occupiamo, vediamo (scegliendone alcuni) come questi secoli celebrarono la Vergine Maria.
FULVIO TESTI (Ferrara, 1593 - Modena, 1640) fu poeta non grande, privo di sentimenti profondi, superficiale e perfino maledico nella vita e negli scritti. Tuttavia ci piace riportare un sonetto, dedicato a Maria, nel quale esprime, con una certa sincerità, i sentimenti di Maria sotto la croce, mentre Gesù viveva i suoi ultimi istanti di vita terrena nel disegno divino della salvezza dell'uomo.
A piè del duro legno onde pendea
Sol per soverchio amor l'eterno Amante,
non men forse del Figlio, egra e spirante
la genitrice Vergine piangea.
E mentre il sangue in caldo rio piovea
Da le piaghe sue sacrate e sante,
ella con mesto e pallido sembiante
sospirando così ver lui dicea:
"Perché non posso anch'io dal corpo esangue
per mostrarti più chiaro il mio dolore
con purpureo ruscel, spargere il sangue?
Deh! mira, Figlio, almen ne l'ultime ore,
mentre l'alma con te, morendo, langue,
ne le lagrime mie stemprato il core".
E', si, un breve componimento, un sonetto; ma non significa anche ciò che, nei momenti in cui l'uomo scopre se stesso e la sua cattiveria, volge istintivamente lo sguardo al cielo ove, prima di incontrare il volto di Dio, s'incontra con quella dolce pietoso di Colei che, a pieno titolo, è invocata come Refugium peccatorum?
GIULIO ROSPIGLIOSI (Pistoia, 1600) è colui che diventò Papa con il nome di Clemente IX, nel 1667, e fu sul soglio di Pietro per soli due anni e mezzo; morì infatti nel 1669.
Fu anche scienziato e poeta ma la sua produzione è composta solo da drammi e melodrammi, di natura prevalentemente religiosa.
Tra questi citiamo il dramma "La conversione di Baldassarra" che ebbe una così grande risonanza che, a quei tempi, perfino le monache di clausura desiderarono vederlo. Furono accontentate perché, sebbene in forma ridotta, venne rappresentato davanti al portale di Campo Marzio.
In un altro suo dramma "La Comica del cielo", si narra di un'attrice che, toccata dalla grazia, si converte e piena di gioia, senza alcune nostalgia per il passato, grida a se stessa ed agli altri: "Addio scene per me, addio teatri"; la sua conversione non è però opera umana personale, ma avviene per intercessione di Maria che, nonostante la sua vita peccaminosa, non aveva mai dimenticato.
Il dramma prosegue e si conclude con la furia di Satana che si scaglia contro la Vergine, non riuscendo a sopportare che "femmina vil lo prenda a scherno"; quel vil è da intendersi non in forma dispregiativa ma come la bavosa rabbia del diavolo che, sebbene di natura angelica, viene sconfitto da una creatura che riveste solo la natura umana.
Satana è costretto a confessare che lui deve sottostare al volere di Dio che ha posto nelle mani di Maria il potere di essere Regina del cielo e della terra e Madre di misericordia soprattutto per quanti cadono nelle spire delle tentazioni e del peccato.
PIETRO METASTASIO (Roma, 1698-Vienna, 1782), è poeta conosciutissimo (il suo vero cognome era Trapassi che egli mutò alla maniera greca). Sfornò a getto continuo drammi, poesie e melodrammi, tanto che, di questi componimenti, può essere definito il principe.
Vienna è il campo dove le sue rappresentazioni vennero generalmente date al pubblico. La Madonna - era uomo di pietà vera - è spesso presente nelle sue opere ma i passaggi più belli appartengono al dramma "La Passione", eseguito a Vienna nella cappella imperiale, nella settimana santa dell'anno 1730.
In esso Pietro viene messo a parte di quanto accaduto a Gesù, durante la sua passione, da tre personaggi che erano presenti: Giovanni, Giuseppe d'Arimatea e la Maddalena. Maria, che non appare mai in prima persona, è però al centro del racconto che i tre fanno a Pietro.
Pietro interroga Giovanni:
E la madre intanto
In mezzo all'empie squadre
Intanto che faceva?
Risponde Giovanni:
Fra i perversi ministri
Penetrar non potea. Ma quando vide
Già sollevato in croce
L'unico figlio, e di sue membra il peso
Tutto aggrevarsi, impaziente accorre
Di sostenerlo in atto; il tronco abbraccia
Piange, lo bacia; e fra i dolenti baci
Scorre confuso intanto
Del figlio il sangue e della madre il pianto.
Potea quel pianto,
dovea quel sangue
nel cor più barbaro
destar pietà.
Pur a quei perfidi
Maria che langue
È nuovo stimolo di crudeltà.
.Del moribondo figlio
sotto i languidi sguardi
dal tronco a cui si stringe
l'addolorata madre è svelta a forza;
a forza s'allontana,
geme, si volta, ascolta
la voce di Gesù che langue in croce;
e s'incontran gli sguardi:
oh sguardi, oh voce!
Per chi legge oggi, questi versi metastasiani possono anche risultare un po' freddi; possono anche non suscitare commozione o sentimenti di pietà. E' certo però che allora il dramma ebbe un'eco impressionante, testimonianza di tempi diversi ma anche testimonianza di un poeta che amò Maria e che scrisse di Lei non per manierismo ma per una fede sentita, alimentata dalla pietà sua personale e da una società che, pur piena di peccati, sentiva la presenza, in mezzo agli uomini, di Dio e della Madonna.
GIUSEPPE PARINI (Bosisio, 1729 - Milano, 1799).
Fu sacerdote dedito all'insegnamento, agli studi, alla vita politica. Ebbe forte il senso della sua personalità. Integro di vita e di condotta, sempre avverso ai compromessi morali e politici. Basta leggere uno dei suoi componimenti, "La caduta", per rendersene conto.
E' celebre il suo rifiuto, pieno di dignità, di entrare nell'aula del Parlamento cisalpino, al quale era stato eletto, quando vide che era stato tolto il Crocifisso: "Dove non entra il cittadino Cristo, non entra il cittadino Parini".
Nella sua vasta produzione, non sono molti gli accenni religiosi, pur essendo egli un sacerdote; ma che fosse uomo di pietà e di fede, lo rivela il sonetto che riportiamo di seguito, dedicato a Maria.
Fior delle vergini non pur che sono
Ma che mai furono e che saranno
Bambin chi diedeti sì caro in dono
Che alati spiriti servendo vanno?
Posto ha l'ebreo sublime scanno
Per Te l'Altissimo in abbandono.
E fra le grazia che ornando il vanno
Del tuo sen formasi amabil trono.
Oh! Come il tenero fanciullo ormai
Sugge avidissimo quindi l'umore
Che ambrosia e nettare vince assai.
Non pure al piccolo divin Signore,
ma a tutti gli uomini vita darai,
fior delle vergini, col tuo licore.
Abbiamo parlato di un sonetto, almeno per quanto riguarda i sentimenti che lo pervadono. La forma comunque è molto lontana da tanti altri componimenti verso cui il poeta si sentiva particolarmente attratto: l'impegno civile e sociale e la difesa della sua integrità morale, civile, sacerdotale.
GIAN BATTISTA VICO (Napoli, 1668-1744), fa parte della storia della filosofia perché ne rappresenta un autore di grande prestigio. Se fu erudito e filosofo, fu anche uomo di profonda fede che cercò sempre di testimoniare nella sua vita. Non poche volte le sue convinzioni religiose affiorano in rime; ma anche nelle sue opere filosofiche, la storia non è concepita nelle ristrettezze dell' immanente, ma aperta alla dimensione verticale.
Comunque due sonetti, in modo particolare, parlano di Maria. Il primo dedicato all'Immacolata Concezione di Maria e declamato in un'Accademia che si teneva in casa di Antonio Castagnola, alto funzionario (caporuota) del Tribunale di Napoli.
Riportiamo solo il secondo, intitolato "Preghiera a Maria", perché ci sembra più spontaneo e più denso di sentimento, anche se il peso del secentismo si fa sentire.
O Vergine Madre, sconsolata e triste
Ch' egra languisti a' piè del crudo legno
Che tien trafitto in vergognosa vista
Chi di gloria beata ha in cielo il regno,
di tal ch'ora t'affanna e ti contrista
fiero, crudele,aspro supplizio indegno
cagione è la mia colpa a l'error mista
del prim'uom che fe' rio l'umano ingegno.
La mia superbia il coronò di spine,
la mia avarizia gl'inchiavò le mani,
mia voglie impure a lui riapriro il petto.
Tu m'impetra or da lui grazie divine
Perché il corrotto cor mi purghi e sani
E in lui sia senza fine il mio diletto.
Certo, chi volesse cercare, in questi componimenti, agilità e semplicità, andrebbe deluso. Caliamoci però nella temperie dei secoli che stiamo prendendo in esame, per capire che ciascuno deve pagare il dazio alle mode culturali.
D'altra parte, se tentiamo di penetrare nell'animo del poeta, non possiamo non notare una sincerità umana ed anche letteraria che ha lo scopo di affondare le sue radici nell'animo del lettore per scuoterlo e avvicinarlo a Dio. Da tener presente che G.B. Vico non fu cristiano tiepido ma visse la sua fede, testimoniandola nella vita e nelle opere, giorno dopo giorno.
LUDOVICO ANTONIO MURATORI (Vignola, Modena, 1672-1750), fu sacerdote e parroco a s. Maria Pomposa, in Modena. Nei suoi scritti, che abbracciano molti volumi, si vede l'uomo di studi profondi, ricercatore della verità storica, che non svelle mai dalla tematica religiosa. Ebbe verso la Madonna una devozione tenera e filiale e soffriva per gli inevitabili abusi che molte volte - come sempre succede - i fedeli introducevano nella pietà mariana. Non fu certamente un grande poeta; diversi infatti erano suoi interessi scientifici. Tuttavia, quattro sonetti sono dedicati a Maria. Versi non certo tanto gradevoli all'orecchio dei moderni; che indicano però quanto fosse vicino e devoto alla Madre di Dio.
Dei quattro sonetti riportiamo soltanto il primo, sia per lo spazio sia anche per non appesantire la lettura.
Quanto sei bella, aurora, allorché fuori
Pomposa uscendo dal balcon celeste,
e ornata d'ostro e d'oro in vaga veste,
t'armi a tenzon contro i notturni errori.
Tutto di gioia, allor, tutto di fiori,
di tue rugiade asperso il suol si veste,
e a darti grazia le tue voci deste
muovo a gara allor gli augéi canori.
Ma un'altra luminosa oltre misura
Aurora or spunta in mezzo ad Israello,
cui nulla macchia o nebbia alcuna oscura.
Alba, sai pur che di Maria favello,
che foriera non solo intatta e pura,
ma degna è Madre a un Sol del tuo più bello.
Nel secondo sonetto, l'Autore cerca di indagare i pregi, i privilegi, le virtù di Maria mentre, nel terzo, celebra Maria come colei che, sola, è capace di liberare l'uomo dalle tentazioni: "Stendi in mio pro, stendi tuo braccio e scudo - braccio fin dall'albor della tua vita - avvezzo a trionfar del mostro crudo".
L'ultimo sonetto è una raccomandazione alla Madre divina perché lo salvi al momento della morte perché possa dire in eterno: "E canterò: chi di veder desia - quai sappia fare alti prodigi un Dio - miri l'Uom-Dio e dopo lui Maria"
Se - come è stato detto - i versi non sono altissimi, lo sono i sentimenti. Il Muratori, fu storico, studioso di antichi documenti, critico appassionato ed austero. La vena poetica non poteva dare di più.
Terminiamo questa quarta parte della nostra rassegna con VINCENZO MONTI (Alfonsine in Romagna, 1754 - Milano, 1828).
Autore controverso, apprezzato dal Manzoni, a volte bistrattato da altri critici. Pare che il Foscolo, parlando di lui abbia detto: "Sdegno il verso che suona e che non crea".
Gli si deve tuttavia riconoscere una piacevole musicalità oltre che forti sentimenti di amor patrio ed anche di religiosità.
E' conosciuto soprattutto per il poemetto Basvilliana in morte dell'ambasciatore francese Ugo Basville, nei moti del 1793.
Per quanto riguarda la Vergine, in età giovanile compose una lirica, in venti strofe, a Maria Addolorata; della Vergine si interesserà ancora, andando avanti negli anni.
Diamo di seguito due strofe della lirica di cui abbiamo parlato.
Simeone dice a Maria:
"Verrà la punta d'un acuto acciaro,
Simeon disse, a trapassarti il core,
e tu sarai di lungo pianto amaro
dotata un giorno, e di crudel dolore.
Ahi! Che il presagio per tuo rio tormento
Fu pieno d'un funesto adempimento!
Ed io resisto ancora? E la superba
Fronte ancor alzo a sì lugubre oggetto?
A me, Vergine, a me la spada acerba
Che a te stridendo si piantò nel petto.
Guarda questo mio cor quanto orgoglioso
Quanto è ai sospiri e al lacrimar ritroso!"
La prossima e penultima puntata di questo "Omaggio a Maria", ci porterà nell'Ottocento che, come il Trecento, ha prodotto i massimi calibri della poesia e della letteratura.
Carmine Scaravaglione