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OMAGGIO A MARIA
L'OTTOCENTO
(Quinta Parte)
a cura di Mons. Carmine Scaravaglione
- 27 Luglio 2003-
Se si volesse paragonare l'Ottocento a qualcuno dei secoli precedenti, il paragone non potrebbe esser fatto se non con il Trecento,; sono due secoli che hanno prodotti gli Autori di immenso genio che hanno illustrato poesia e letteratura.
L'Ottocento è il secolo che, anche per le vicende politiche, per i grandi mutamenti sociali, non può essere etichettato in modo uniforme. Molte volte sono stati gli eventi socio-politici a determinare le scelte degli Autori. Dal pensiero illuminista già sorto da tempo, alla Rivoluzione francese, all'ascesa, e poi al declino di Napoleone, agli aneliti patriottici che cominciamo a dominare le coscienze ed il pensiero, tutto ha contribuito a far sorgere un secolo che si è poi dispiegato in multiformi correnti poetico-letterarie.
Una colorazione specifica l'hanno impressa sia il Romanticismo europeo sia quello italiano. Un movimento però che si diversifica da autore ad autore e che, forse, non consente un giudizio marcato e netto.
Fatte queste brevi ma essenziali precisazioni, vediamo come questo secolo ha onorato Maria. Quali voci si sono levate, anche se non in modo eclatante, almeno come espressione intima di sentimenti personali e di interpretazione dei sentimenti popolari.
Apriamo pertanto la nostra rassegna con un nome che tutti conoscono ed mano: UGO FOSCOLO (Zante, 1778 - Londra, 1827).
Di madre greca e padre veneziano, ebbe una vita errabonda, dove le sofferenze non mancarono mai. Visse per soli 49 anni, ma il suo genio seppe lasciare tracce indelebili. Non ci permettiamo di citare le sue opere perché sarebbe un affronto per tutti.
Per quanto riguarda il suo sentimento religioso, non possiamo certo dire che fu un credente nel senso che comunemente intendiamo. Agitato nella sua vita personale e familiare, colpito da disgrazie e lutti, senza mai posare stabilmente il suo piede, senza alcuna requie nel campo dell'amore, solo alla fine della sua vita potè godere della vicinanza e dell'affetto di sua figlia e pare che, alla fine, si rivolse a Dio che non aveva mai negato con rabbia o bestemmiato per le sue sofferenze, ma - come emerge da alcuni accenni delle "Ultime lettere di Jacopo Ortis" - le sue radici religiose non furono mai completamente divelte.
Su Maria non ha scritto nulla di specifico. Abbiamo però due commenti a due sonetti: il primo del cardinale Pietro Bembo, il secondo di Quirico Rossi.
L'analisi estetica è pervasa da un sentimento religioso ove anche la teologia è precisa; ma soprattutto emerge una tenerezza, che fa parte del suo stesso essere, che si diffonde attorno alla figura della Vergine Maria.
Due commenti che valgono ben più di un componimento personale alla Madre di Dio.
Ugo Foscolo, pur nella sua vita tumultuosa, seppe spesso alzare gli occhi al cielo. Del resto, se Dio è Padre e Maria è Madre e consolatrice degli afflitti, potevano non guardare ad un figlio che accettò le grandi sofferenze della vita non con lamenti e piagnistei ma con la fortezza di un poeta che lascia ai posteri capolavori inimitabili?
Un altro gigante dell' Ottocento è GIACOMO LEOPARDI (Recanati, 1798 - Napoli, 1837).
Appartenente alle media borghesia e ad una famiglia di radicate convinzioni religiose e papaline, fu educato, specialmente dal padre, all'amore allo studio. Privo di amicizie e di svaghi, forse anche per la sua deformità fisica, si chiuse in sé e si immerse negli studi, divorando libri su libri, specie quelli dei classici greci e latini. Tanto studio però, mentre fece sviluppare il suo genio, gli compromise gravemente la salute. A 39 anni, sfinito, morirà a Napoli.
Pur essendo stato educato nella fede, non vi giunse a maturità, forse perché non trovò nessuno che lo aiutasse ad afferrare le realtà divine. Il suo celebre pessimismo lo rese anche infelice negli affetti. La vita, per lui, è un breve infelice viaggio senza senso che si perderà alla fine nel nulla eterno della morte.
Se però si sanno leggere le sue liriche, lo Zibaldone, le Operette Morali e quanto l'alta sua fantasia seppe creare, si scorge l'intimo tormento del suo animo, sempre alla ricerca di quella verità, di quel filo di luce che, nel tunnel della vita, avrebbe potuto condurlo al trascendente.
Di strettamente religioso scrisse poco, ma in un poemetto giovanile intitolato "Appressamento alla morte", così si rivolge a Maria:
O Vergin Diva, se prosteso io mai Caddi in membrarti, a questo mondo basso, se mai ti dissi Madre, e se t'amai, deh! Tu soccorri lo spirito lasso quando de l'ora udrà l'ultimo suono, deh" tu m'aita ne l'estremo passo. Vestirà l'alma, sì ch'io mora e poi Venga timido spirto anzi al tuo trono. E se il mondo cangiar coi premi tuoi Deggio morendo e con tua santa schiera, giunga il sospir di morte, e poi che vuoi ei copra un sasso, e mia memoria pèra.
Anche se in questi versi - il Poeta del resto era ancora troppo giovane - non si ravvisa la potenza poetica che maturerà negli anni a seguire, i sentimenti di fede sono autentici, anche se una vena di pessimismo è sempre presente, quando parla di una vita destinata a scomparire persino nella memoria dei posteri.
Una particolare devozione a Maria Leopardi doveva sentirla intimamente, come si può evincere da due sue lettere. Una inviata alla sorella Paolina, il 23 novembre 1825, in cui rimpiange di non essere stato presente alla festa annuale della Madonna della Consolazione: " Avete già fatto la festa della Madonna, e io non mi ci sono trovato. Ti assicuro che ci pensai e mi dispiacque…". Alla madre, Adelaide Antici, il 28 maggio 1830, scrive da Firenze: "Mi raccomandi alla Madonna".
Pare inoltre che avesse in mente - tra il 1819-1820 - la composizione di alcuni Inni sacri. Su un foglio manoscritto, in cui parla di tale progetto si legge: "A Maria. E' vero che siamo tutti malvagi, ma non ne godiamo, siamo tanto infelici. E' vero che questa vita e questi mali son brevi e nulli, ma noi pure siam piccoli e ci riescono lunghissimi ed insopportabili. Tu, Maria, che sei già grande e sicura, abbi pietà di tante miserie".
Se Maria, come dice Dante, accolse una lagrimetta di Buonconte da Montefeltro, per toglierlo dalle mani del demonio e salvarlo, poteva non ascoltare i gemiti di un uomo infelice, che non riusciva a trovare riposo se non nella produzione sgorgante dal suo genio; che a soli 39 anni, morente, lontano dalla sua terra e dai parenti, volle ricevere i sacramenti della Fede, che certamente lo deposero nelle braccia dell'infinita misericordia di Dio, sotto lo sguardo materno della Consolatrice degli afflitti?
Completamente opposto al Leopardi è invece GIACOMO ZANELLA (Vicenza, 1820-1888). Sacerdote umile dallo spirito serena, è un poeta luminoso e dolce. Famoso per l'ode Su una conchiglia fossile, che molti hanno studiato e imparato a memoria negli anni della scuola media, Zanella scrisse molto su Maria e, in un'altra sua lirica, Ad un'antica immagine della Madonna, contrappone la Fede, nella sua genuinità teologica, alle realtà umane, come la scienza, la potenza, la politica che, nella loro superbia, tentano spesso di rmarginare Dio.
>"… l'uomo lontano da Dio dell'universo il volto sconsolato abbassò, né più sorrise".
Vogliamo però riportare un poderoso sonetto in onore di Maria dal titolo:"Davanti ad una cappella della Madonna".
Da questo scoglio, che torreggia immoto Nel brullo del torrente arido letto, ove la Fe' di secolo remoto pose il solingo, candido tempietto. Odi, a gran Donna, il cantico devoto che a Te leviamo dall'acceso petto e dei giovani cuori adempi il voto fidenti appien nel tuo materno affetto. Ome questo inconcusso, altero scoglio, su cui prostrati t'adoriam, del flutto tempestoso in april spezza l'orgoglio: fa che salda la Fede in noi resista e qual miriam questo torrente asciutto, l'error dilegui ch'oggi il mondo attrista".
Era il 1876. E davanti ad un'edicola fra Possagno ed Asolo - vicino a Treviso - improvvisò questi versi ridondanti di filiale affetto verso la Madre di Dio.
Maria, nel piano di salvezza voluto da Dio, è vero punto di riferimento, è la stella di san Bernardo: "Respice stellam, voca Mariam!".
Per chi vuol saperne di più, aggiungiamo che Zanella compose un poemetto, da pochi soltanto conosciuto, dal titolo: "Milton e Galileo". C'è in esso una scena che merita di essere raccontata: l' Autore descrive la scena della preghiera serale di suor Maria, figlia di Galileo, insieme all'inglese Milton. Tralasciando gli inesatti riferimenti temporali - la visita di Milton si verificò nel 1638 mentre suor Maria morì nel 1634, sei anni prima del padre - è bello sentire le parole della figlia che, vicina al padre vecchio e cecuziente, così prega la Madonna:
"Padre, dicea, se non t'incresce, è l'ora della preghiera. Il venerando capo si scoperse il vegliardo, e, non pensando, altrettanto fè l'anglo. Allor la donna le man giungendo e le serene luci devotamente al ciel levando, orava: O del cielo Regina, e di perdono e di misericordia immensa fonte, madre d'amore, aura vital, dolcezza unica nostra ed unica speranza, salve! A te solleviamo il nostro sguardo noi d'Eva esuli figli: a te gementi e lacrimanti sospiriam da questa bassa valle del pianto. Or tu pietosa soccorritrice, a noi cotanto afflitti quei tuoi miti amorosi occhi converti
e non tardar. Fa che di questo esiglio uscir possiamo avventurosi; e mostra a noi, tuoi fidi, il benedetto frutto del ventre tuo, Gesù! Salve, clemente umile e pia che di dolcezza avanzi
quante vergini fur, salve, Maria!"
Non aggiungo alcuna parola per non guastare la freschezza e la semplicità spirituale della preghiera che, come è facile capire, è una parafrasi della "Salve Regina".
Dobbiamo sorvolare su tanti altri che Maria hanno cantato con appassionato lirismo: da Pier Paolo Parzanese a Cesare Cantù; da Silvio Pellico a Niccolò Tommaseo; da Antonio Stoppani a Giuseppe Giusti ad Antonio Rosmini…
Non possiamo però passare sotto silenzio la voce di ALESSANDRO MANZONI (1785-1873).
Anche se la sua vita si è svolta nel clima avvelenato della Rivoluzione francese, dei moti del 1821, del 1848 e nei decenni successivi che videro l'unità d'Italia, egli ebbe come faro della sua vita la fede, dopo la laborioso conversione avvenuta a Parigi. Egli non rientra in nessuna corrente letteraria dell'Ottocento perché le sintetizza e le supera tutte.
Ebbe una devozione tenera ma di grande spessore verso la Madonna e, tra gli altri scritti, in prosa e poesia, a Lei ha dedicato uno dei cinque inni sacri intitolato "Il Nome di Maria".
E' composto da ventuno strofe che, ovviamente non possiamo riportare tutte. Trascriviamo soltanto le prime due e, di seguito, la decima, l'undecima e la dodicesima.
"Tacita un giorno a non so qual pendice salia d'un fabbro nazaren la sposa; salia non vista alla magion felice d'una pregnante annosa; e detto "salve" a lei, che in riverenti accoglienze onorò l'inaspettata, Dio lodando sciamò: Tutte le genti Mi chiamerai beata".
…………………………………..
O Vergine, o Signora, o Tuttasanta, che bei nomi ti serba ogni loquela! Più di un popol superbo esser si vanta In tua gentil tutela. Te quando sorge e quando cade il die E quando il sole a mezzo corso il parte, saluta il bronzo che le turbe pie invita ad onorarte. Nelle paure della veglia bruna, Te noma il fanciulletto; a Te, tremante, quando ingrossa ruggendo la fortuna, ricorre il navigante. La femminetta nel tuo sen regale La sua spregiata lacrima depone,
e a Te, beata, della sua immortale alma gli affanni espone.
…………………………………………………
La poesia del Manzoni, anche se non ha gli stessi accenti di genio come il suo romanzo immortale, conosce fremiti di lirismo perché in lui, la fede, venne vissuta quotidianamente e ne ispirò non solo l'estro ma anche la condotta di vita.
Parrà forse strano che, tra i tanti, vogliamo inserire un nome che nessuno sospetterebbe: COSTANTINO NIGRA (Torino, 1822 - Rapallo, 1907). Conosciuto come diplomatico ai tempi di Camillo Benso conte di Cavour (di lui si è interessato anche il cinema), si dilettò anche di poesia.
Ammirando una tela di Herterick (scuola detta dei Nazareni) "Il carpentiere", esposto alla mostra internazionale di Torino nel 1905, il Nigra compose la seguente poesia dal titolo "La casa di Nazareth", che venne pubblicata dal Giornale d'Italia il 15 luglio 1907.
"Presso la cuna del figliuol divino sta filando la Vergin benedetta, e san Giuseppe, con in man l'accetta, acconcia il tronco d'un reciso pino. Ma nel tepor primaverile è sceso Leggero il sonno nella casa pia; caduto è il fuso ai piedi di Maria, dorme Giuseppe sulla panca steso. E il piccolo Gesù si leva, e il fuso Raccoglie e fila. Ma com'ei lo tocca, in fino argento cangiasi la rocca, l'arida lana in filo d'oro fuso. Poi colla pialla il duro albero monda. Come virginei ricci in torti giri O nastri pinti nel color dell'iri La ghirlanda dei trucioli il circonda. Gli Arcangeli in immensa teoria E i fiammeggianti Cherubini in coro, miran cantando l'umile lavoro delle mani del Figlio di Maria. Ma dei celesti messi ecco la voce Si muta in pianto, e si racchiudon l'ale
Poiché in man dell'artefice immortale L'albero a un tratto s'è foggiato in croce".
Non è chi non veda la dolcezza, la commozione, la dolcezza spirante da questi versi. E' sempre vero che, guardando Maria, il cuore umano, se ha sensibilità di fede, non può restare indifferente.
Qualcuno potrebbe storcere il naso vedendo comparire, in questa rassegna, anche se incompleta, il nome di GIOSUE' CARDUCCI (Valdicastello, 1835 - Bologna, 1907).
Il Carducci infatti viene abitualmente associato al suo conclamato anticlericalismo ed alla sua appartenenza alla Massoneria.
E' vero. Carducci si lasciò coinvolgere spesso in un clima risorgimentale tinto di asprezza e disprezzo verso la Chiesa e il Cristianesimo, tanto da mettere il suo estro e il suo genio in atteggiamento da ferire la sensibilità dei credenti. Basti ricordare "L'Inno a Satana". La sua scorza era ruvida, ma nell'intimo era pieno di elevati sentimenti spirituali, devoto alla Vergine, tanto da potersi definire - accanto a Dante e Manzoni - il cantore di Maria.
Tre anni prima della sua morte, il Poeta, sul Gran san Bernardo, si riconciliò con Dio, accostandosi ai sacramenti, come aveva fatto nell'età della trasparenza e della purezza.
Una sua quartina, scritta ai piedi di un Crocifisso a lui regalato dalla regina Margherita di Savoia, si può collocare ai vertici del più alto lirismo religioso. Probabilmente fu scritta dopo il suo ritorno alla fede:
"Le braccia di pietà che al mondo apristi dolce Signor, da l'albero fatale, piegale a noi che, eccatori e tristi, teco aspiriamo al secolo immortale"
Poteva il Crocifisso non tendergli le braccia? Non è nello stile di Dio.
Maria non è soltanto occasionale nella mente e nella produzione carducciana. In un "Idillio" composto a diciassette anni; nelle Rime Nuove, in Rime e ritmi, nelle Odi barbare , nella Leggenda di Teodorico, il nome e la figura della Vergine ricorrono molto spesso e con accenti appassionati.
Per chiudere comunque con il Carducci, riportiamo la celebre Ave Maria che costituisce la parte finale de "La Chiesa di Polenta": quattro strofe piene di nostalgia; di "una ricca nostalgia che eleva l'uomo alle sublimi realtà di Dio, seguendo il cammino di fede di Dante e di Byron":
Ave Maria! Quando su l'aure corre L'umil saluto, i piccioli mortali Scovrono il capo, curvano la fronte Dante ed Aroldo. Una di flauti lenta melodia Passa invisibil fra la terra e il cielo: spiriti forse che furon, che sono e che saranno? Un oblio lene de la faticosa Vita, un pensoso sospirar quiete, una soave volontà di pianto l'anima invade. Taccion le fiere e gli uomini e le cose, roseo il tramonto ne l'azzurro sfuma, mormoran gli alti vertici ondeggianti: Ave Maria!
Anche il rude poeta maremmano, il Carducci anticlericale, di fronte a Maria non potè non scoprirsi il capo e piegare il ginocchio. E la Madonna gli fu vicino quando, alla fine della vita, gli tolse il velo dallo spirito offuscato e gli mostrò il "frutto benedetto del ventre suo, GESU'.
Nato a S. Mauro di Romagna nel 1855 e morto a Bologna nel 1912, GIOVANNI PASCOLI fu, come il Carducci, vittima dell'atteggiamento anticlericale del suo tempo. La politica risorgimentale, aveva fatto le sue vittime anche tra uomini di grande ingegno, e si pensava allora di non poter essere buon italiano senza essere ferocemente contro la Chiesa e la religione.
Chi ha letto e assaporato una delle sue poesie, Il Viatico, sa come il Poeta chiede di morire anche lui, confortato dalla presenza della Chiesa che porta - a chi parte da questo mondo - il piccolo grandioso mistero dell'Eucaristia. Purtroppo non potè essere esaudito per la violenza morale di chi circondava il suo letto di morte, nonostante il richiamo della sorella Maria.
Su Maria non ha scritto poesie, ma la sua presenza è molte volte accennata nelle sue liriche semplici e gentili.
E' predsente nei Poemetti conviviali, in Mirycae, ne I canti di Castelvecchio.
Propniamo, agli eventuali lettori, tre distici latini scritti dal Papa Leone XIII, espertissimo in lingua e versi latini; del Pontefice il Pascoli era fervido ammiratore proprio per questa sua qualità. Volle pertanto, da par suo tradurre in italiano quanto il Papa aveva scritto in latino.
L'estremo dono
Oh! Coelum attingam! Supremo munere detur Divino aeternum lumine et ore frui. Teque, Maria, fruar, mundi Regina, per hostes Infensos trepido quae benefica viam Pandisti ad patriam. Coeli de civibus unus Te, duce, jam dicam, praemia tanta tuli. Ed ecco la traduzione del Pascoli: Giungere io possa nel cielo,godere de l'ultimo dono: la visione di Dio splende in eterno per me. E mi riceva nel cielo, Regina del mondo, Maria Che tra i nemici la via, guida sicura m'aprì (come io temeva) a la patria; lassù cittadino del cielo già. "Perché tu mi guidasti, ho tanto premio", dirò.
Vogliamo terminare con uno sconosciuto a molti, conosciuto però da chi ha seguito la sua parabola umana, tutta impregnata di fede, che lo condusse fino alla morte avvenuta - come suol dirsi - in odore di santità.
Si tratta di CONTARDO FERRINI (Milano, 1859 - Novara, 1902). Non fu un poeta ma grande studioso di Diritto romano che insegno nelle Università di Messina e di Pavia. Nella raccolta dei suoi scritti spirituali, molto spesso il suo pensiero si innalza alla Vergine, della quale fu devotissimo; non vi sono però poesie.
Abbiano però una traduzione dal tedesco di una bella poesia dedicata alla Madre di Dio. Traduzione magistrale.
Alla luna simil, Vergine Madre, altissima Regina delle angeliche squadre, Tu ne guardi benigna! A Te s'inchina Ogni creato spirto, in Te riluce La bellezza degli angioli, ogni pia Virtude ed ogni luce Che negli astri risplende. E' tuo, Maria, il Figlio Tuo, il nostro Salvatore; è tuo quel Dio che ci redense, a Lui Tu sei vicina e ne possiede il core. Quando un empio furor lo crocifisse Acuta di dolore Spada,il sen ti trafisse. Manda in aiuto a noi, Madre fedele, gli Spirti santi che ti fan corona; nel travaglio crudele l'amante Figlio Tu non abbandona. A Te il nostro saluto, a Madre amante, a Te la nostra supplice preghiera! Mostra il Tuo Figlio a noi, popolo errante, che sempre in Te, benigna Madre, spera. Sacro ti fia dei nostri labbri il canto! Noi di maggio Ti offriamo e gli inni e i fiori E Tu rendi i tuoi figli un popol santo, e Tu conforta alla virtude i cuori. Raggio lieto di sol, fonte d'amore, palpita forte il cuore a Te pensando! Dona, o Maria, il nostro Redentore, che tra le braccia vai dolce portando. E noi vogliamo insieme una corona Tesser leggiadra, a Lui, d'eletti gigli, se il tuo seno un momento egli abbandona per consolare i derelitti figli. Esultanti di gioia l'orneremo De' miglior doni, e il porterem festanti! Sicuri intorno a Lui ci stringeremo, quando il perielio ci farà tremanti. Giuriamo a Lui che ad ogni creatura Il varco chiuderem del nostro cuore. Viver sempre per Lui sia nostra cura, a Lui sol consacrare il nostro amore.
Credo che ogni commento guasterebbe. Amiamo ed onoriamo Maria: "accanto alla Madonna nessun figlio perirà".
Carmine Scaravaglione