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Presentazione
Sento impellente il bisogno – o forse il dovere? – di scrivere qualcosa, per questo tempo di inoltrata Quaresima, in attesa della Pasqua, nella speranza che questa pagine possano cadere nelle mani di tanti fratelli e sorelle che vivono il loro tempo nella morsa della materialità, o forse di un cupo materialismo.
Se - ad esempio – in un giorno di domenica – dies Domini, giorno del Signore – esco per le strade di un qualsiasi paese, vedo con tristezza, sul volto e nell’atteggiamento di tanti cristiani, una specie di accidia volontaria; un andare a destra e a manca, senza una meta. Persone anziani che bivaccano sulle panchine o lungo i marciapiedi, a parlare di tutto che, molte volte, risulta essere il nulla. Uomini maturi che si affannano in tuta, in corse campestri o lungo le strade, alla ricerca di un peso-forma ideale che ridoni al corpo la nostalgica agilità degli anni della gioventù. Giovani di ogni età, che vanno in bicicletta per mantenere il loro corpo esuberante e lineare, per conservare una giovinezza che, purtroppo, prima o poi li farà sfiorire. Donne e ragazze che affollano le strade per una passeggiata che consenta al loro sistema nervoso di distendersi, per riprendere poi il lavoro settimanale al sorgere della nuova settimana.
In più, l’obbrobrio dei negozi su cui campeggia, a caratteri cubitale: “Aperto anche la domenica”.
Viene allora, spontanea, la domanda: dove sono i cristiani, i redenti da Cristo, i figli dell’amore di Dio che ha mandato il Suo Figlio per ridonare a tutti ed a ciascuno la libertà di uscire dalle tenebre per essere folgorati dalla luce di Cristo?
Si può rispondere: sono nelle Chiesa, per partecipare alla santificazione del giorno del Signore.
E allora entro nelle Chiese e vedo, si, molte persone di ambo i sessi – ma pochi giovani – che si sforzano di pregare, meditare, ascoltare, partecipare all’atto più grande della nostra fede: il sacrificio eucaristico, la santa Messa.
Se facessi però un giro per le strade e per le case e domandassi, a bruciapelo: fratello, sorella, ma tu sei cristiana, sei cristiana? La maggior parte risponderebbero un sì netto e istantaneo.
Per che allora te ne stai a gironzolare senza che il suono della campane della tante chiese scuota la tua inerzia spirituale, quell’ accidia che fa parte dei sette peccati capitali? E tu perché sei rinchiusa in casa tra pentole e fornelli, a preparare pietanze e pranzi per i parenti o per gli amici, mentre nelle chiese si consuma il sacrificio della Croce a cui Cristo, almeno settimanalmente, ti invita? E tu, fratello, che fai davanti alla Tv, in un atteggiamento di annoiata solitudine in attesa che ti si gridi: il pranzo è pronto?
Vedo poi tanti bambini e bambine, davanti ai computer o arrossati davanti alle play stations, senza che tanti genitori si facciano scrupolo di dire loro – dandone l’esempio – che la domenica non può essere profanata, perché è tempo di Dio e tutto ciò che non si dà a Dio, lo si consegna al suo Avversario che, con le scuse più banali, ci conduce sulla strada larga e spaziosa che conduce all’abisso.
So, ma non vedo, che, specie quando cala la sera, si riempiono i pub e le discoteche, i ristoranti e le paninoteche, (termine orribile per l’armoniosa lingua italiana); al pomeriggio, gli stadi formicolano di gente che urla, lancia insulti, impreca, bestemmia……
Anche questi, almeno la grande maggioranza, si dicono cristiani.
Di fronte ad una fede che la maggior parte vive in modo tradizionale, senza gioia, o forse come un peso da sopportare in determinate occasioni, vengono spontanee alle
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labbra le parole di Gesù: “Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me!
Immersi nella materia, alla ricerca del denaro, del successo, del piacere; sconvolti spiritualmente da spettacoli televisivi che, nella maggior parte, fanno arrossire di vergogna perfino chi vive la sua tarda età; protèsi – i giovani in particolare – a mantenere un’eterna giovinezza, non ci si accorge che il tempo passa e si avvicina il punto in cui dovremo lasciare tutto per essere consegnati alla morte. “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi, alla fine, perde la propria anima?”.
Affido allora queste pagine, ai tanti cristiani che si sforzano di vivere la loro fede nell’osservanza dei comandamenti, cercando di amare Dio, nonostante rimaniamo sempre imperfetti, deboli e peccatori.
Li affido a quanti avranno la volontà di leggerle come un messaggio di un fratello che, con la grazia del Signore, tenta di smuovere, la lastra di superficialità, di altezzosità, di orgoglio, di indifferenza che ha sepolto tanti cristiani in un soggettivismo diabolico dal quale si stenta ad uscire.
Se anche poche persone sentiranno il bisogno di riaccostarsi a Gesù Cristo, questa piccola fatica non sarà stata né inutile né vana.
La Quaresima: come nasce; scopo e significato
Il termine “Quaresima” deriva dal latino “quadragesima(dies)” corrispondente al greco “tessarokostè (hemèra)” che significa “quarantesimo giorno”. Nella cultura della Grecia antica, il numero quaranta rivestiva una certa importanza; voleva significare un lungo periodo: l’uomo, a quarant’anni, raggiunge la sua maturità; secondo Aristotele, il feto cominciava a muoversi nel grembo materno dopo quaranta giorni; Ippocrate teorizzava che, in una malattia, dopo quaranta giorni, subentrava una crisi che poteva essere positiva o negativa.
Anche nel mondo ebraico, - come risulta dall’Antico Testamento – il “quaranta” ha grande importanza. Basti ricordare che gli Ebrei, dopo la liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, vagano per quarant’anni nel deserto, prima di entrare nella Terra Promessa. Sia Davide che Salomone regnano per quaranta anni.
Mosè sale sul Sinai e vi si intrattiene per quaranta giorni e quaranta notti, astenendosi da ogni cibo (Es., 34,28). Similmente il profeta Elia cammina per quaranta giorni nel deserto prima di raggiungere il monte Oreb, astenendosi anche lui dal magiare e dal bere (1 Re, 19,8).
Con la venuta di Gesù l’importanza del “quaranta” non viene meno, anzi diventa riferimento fondamentale il suo digiuno nel deserto per quaranta giorni e quaranta notti in due occasioni. Dopo il battesimo ricevuto da Giovanni e prima delle tentazioni cui è sottoposto da Satana. (Mt., 1-2)
Questi dati costituiscono, per così dire, il retroterra del nostro digiuno quaresimale e del periodo che, ogni anno, precede la Pasqua.
Sappiamo comunque con certezza che la Quaresima si celebrava già nel IV secolo, come risulta dalla testimonianza di Atanasio di Alessandria e di Eusebio di Cesarea: Essa è un esercizio di purificazione mediante il digiuno, la preghiera, la penitenza perché “non altrimenti si può mangiare la Pasqua se non applicandoci alla Quaresima” (s. Atanasio).
La Quaresima era il tempo favorevole perché quelli che si preparavano a ricevere il battesimo, nella notte di Pasqua, intensificassero la loro preparazione e perché i penitenti potessero riconciliarsi con Dio e con la Chiesa dopo aver ricevuto, nel mercoledì iniziale della Quaresima, l’imposizione delle ceneri e del cilicio. La loro riconciliazione avveniva poi il Giovedì Santo.
La nostra Quaresima: tempo di perdono e di salvezza
Con il trascorrere del tempo, specie nel flusso di tanti secoli, anche la Quaresima è venuta modificandosi.
Fino a cinquanta anni fa, entrare in Quaresima significava inoltrarsi in un periodo di penitenza, anche materiale. Si metteva da parte soprattutto la carne; si consigliava una maggiore austerità, privandosi di alimenti succulenti, di quanto coccolava la gola, per essere più vicini a Gesù, per unirsi alle sue sofferenze, per ricordarsi della sua passione e morte e prepararsi alla Pasqua, giorno del trionfo del Signore con la sua risurrezione, ma anche perché il digiuno, sottomettendo il corpo allo spirito, stronca le tentazioni della carne e ci fa apparire il peccato nella sua mostruosità. Oggi la Chiesa ha limitato molto il digiuno materiale, facendo obbligo ai cristiani di digiunare al mercoledì delle Ceneri, e al Venerdì Santo, mentre per tutti i venerdì della Quaresima, si è obbligati ad astenersi dalle carni.
Ha spostato comunque l’attenzione dei fedeli al senso spirituale del digiuno. Il cristiano cioè digiuna soprattutto astenendosi dal male, liberandosi dal peccato, unendosi a Dio con la preghiera, accostandosi con grande responsabilità al sacramento della confessione perché, a Pasqua, possiamo veramente risorgere con Cristo.
Bisogna pur dire che molti cristiani, tiepidi, o addirittura frigidi, trascorrono la Quaresima come se fosse un eterno carnevale. C’è in molti una certa forma di snobbismo nel considerare digiuno e penitenza, preghiera e sacramenti come qualcosa di sorpassato e di poco moderno.
C’è però, nel comportamento di tanti, una stridente contraddizione: da un lato ci si sente superiori a quanto la Chiesa ci indica per purificarci spiritualmente; dall’altro, mentre declina la religione “ecco spuntare l’austerità laica, ben più inflessibile e lugubre. Ecco i profeti delle diete, ecco i predicatori del biologico, dell’integrale, del vegetariano; ecco quei nuovi ,severissimi sacerdoti del salutismo che hanno sostituito la tonaca del religioso con il camice bianco del medico e il calice della Messa con l’ampolla del prelievo del sangue, per test dai parametri sempre più restrittivi”. (V. Messori, Emporio cattolico Ed. Sugarco, 2006, pag. 315).
E’ quasi una nuova religione che tende alla perfetta forma fisica da raggiungere ad ogni costo. E mentre sorge e trascorre il giorno del Signore, la domenica, mettendo da parte ogni pensiero, dovere o bisogno religioso, vediamo le nostre strade intasate di ciclisti, di podisti sbuffanti e sudati, mentre cresce il numero degli anoressici – specie delle anoressiche – che, privandosi di tutto per avere un “vitino di vespa”, danneggiano irreparabilmente la loro salute.
E’ bene dirlo a chiare lettere: il messaggio evangelico non demonizza nessun cibo, non spreca scomuniche per proibire questo o quello. Anzi il Vangelo ha portato all’abolizione di ogni interdetto alimentare. Il Cristianesimo è l’unica religione che non proibisce nulla perché Gesù ha detto che non è quello che entra nel corpo che contamina l’uomo, ma ciò che esce dal suo cuore.
Perfino i monaci che si dedicano a Dio consacrandogli tutta la loro vita, sono obbligati a nutrirsi, con parsimonia sì ma sufficientemente, come si può ben vedere, in modo particolare, nella Regola dettata da san Benedetto da Norcia e che costituisce ancora il fondamento di ogni regola monastica.
Componente principale della Quaresima non è quindi la rinunzia al cibo materiale, se non in modi discreti e temporanei. Essa deve essere invece caratterizzata dal digiuno della mente, della lingua, del cuore.
La mente si eleva a Dio con la preghiera che può essere mentale o vocale; la lingua si astiene dalle turpitudini, dalle bestemmie, dalle calunnie per elevare la lode a Cristo che si immola per noi attraverso patimenti indicibili. Il cuore si purifica nel
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sacramento della misericordia, la confessione, attraverso un lavaggio spirituale che riporta l’anima al candore del giorno del nostro battesimo.
L’intera persona, corpo ed anima, è tesa verso l’alto.
Nella Bibbia si parla sempre di unitarietà del corpo e dell’anima in una persona: questa, la persona, è stata riscattata dal sangue di Cristo.
La persona è il santuario del Dio vivente. “Possiamo dire che Dio sta alla porta della nostra anima e bussa e ci deve essere quindi un impegno di apertura, di disponibilità a riceverlo…di una disponibilità interiore che sia nello stesso tempo fede concreta e vissuta nel compimento della volontà del Signore. Credere in Gesù e osservare la sua parola è la condizione per la quale Dio Trinità viene a prendere dimora nel cuore del credente[…] E’ un mistero, un evento che non ci può lasciare indifferenti perché […] Dio opera la sua redenzione dentro di noi, nel nostro spirito e nel nostro cuore, in tutta la nostra realtà di creature; non è un ospite passivo e inerte, ma Qualcuno che viene a compiere una missione di salvezza”. (Anastasio Ballestrero, “Vivi nel Dio vivo”, Ed. San Paolo, 1993, pagg. 116-117).
La Quaresima ci ricorda in modo particolare, ciò che noi siamo e ciò che noi dovremmo essere per ricambiare l’amore di Dio, di cui – se vogliamo – possiamo diventare “santuari viventi”.
Per questo il periodo quaresimale diventa “tempo di perdono e di salvezza”, a patto che ciascuno sia capace di fermarsi un po’ nella frenetica vita quotidiana; di guardarsi dentro; di avere momenti di pausa perché il bombardamento (soprattutto televisivo) di parole e di scoop di ogni genere, non ci immergano nella piatta palude dove la “materialità” diventa l’unica cosa importante che fagocita il nostro tempo e distrugge ogni idealità.
Il lavoro, il denaro, il benessere non sono cose proibite da Dio. Ciò che è male è dimenticare, per queste cose, il destino della nostra vita, il senso del perché siamo al mondo, perché viviamo, soffriamo e moriamo.
Mi ha impressionato ciò che ho letto qualche tempo fa e che ho conservato perché corrisponde a verità per tante persone.
Sono due frasi. La prima è dello scrittore francese Pierre Daninos, la seconda, del famoso studioso canadese dei mass media, Marshall MacLuhan.
Il primo afferma: “Gli uomini mettono nella loro automobile non meno amor proprio che benzina”. Afferma il secondo: “L’automobile e divenuta ormai un articolo del vestiario senza il quale ci sentiamo nudi, incerti e incompleti”.
All’automobile – ma non forse anche alla casa, alla villa al mare, ai vestiti, all’apparire più che all’essere? – si riserva un amore particolare; un amore che, tante volte, non siamo capaci di dimostrare ai nostri simili. Guai a chi si permette il sorpasso con una macchina più piccola; guai a strisciare, anche molto lievemente la fiammante vernice di ciò che costituisce una parte importante del nostro orgoglio.
Questo ci fa capire che, se è giusto che teniamo alle nostre cose materiali, perché costano sacrifici e servono per il lavoro, tuttavia questo eccessivo amore si può trasformare in dipendenza e subordinazione alle stesse, fino a confondere la scala dei valori, fino a rendere opaca la nostra stessa dignità.
Può essere giusto, ad esempio, che io, cristiano, trascorra la mattinata della domenica, nella meticolosa pulizia della mia automobile, mentre sono chiamato a vivere il giorno consacrato al Signore?
E’ giusto che io, cristiana, faccia scorrere la domenica, restando in pigiama o in vestaglia, scarmigliata, per una domofilia che non tollera un granello di polvere o una mattonella macchiata, dimenticando completamente che la mia anima, la mia persona interessa a Dio più di qualsiasi altra cosa?
Mi auguro che ciascuno di noi abbia il tempo di pensare a non perdere questo tempo della Quaresima.
Ogni attimo che fugge non tornerà mai più. Ogni giorno che passa è un’occasione perduta.
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Ritorniamo al Signore chiedendogli perdono, imploriamo da Lui che ci dia una retta visione della realtà per non sciupare la nostra vita e ritrovarci, alla fine, lontani da lui perché sedotti dall’astuzia del demonio.
E Pasqua sarà veramente un passaggio dalla morte del peccato alla vita della grazia scaturente dal sepolcro vuoto dove Cristo ha vinto la morte e a noi ha ridonato la speranza dei beni eterni che non svaniscono e non si consumano come tutte le cose terrene che, come abbiamo già visto, spesso ci allontanano dalla strada della verità.
Quaresima: tempo per recuperare la fede, la speranza, la carità
Il mondo in cui viviamo sembra improntato – fatto salvo tutto il bene che non manca mai – all’utilitarismo e indifferente ai principi morali, quasi che fossero valori del passato, inutili, anzi dannosi, ai nostri giorni.
E’ la conseguenza logica di quella che è stata chiamata, da almeno un secolo e mezzo, “la morte di Dio”.
Seppellito il suo cadavere e rimosso ogni valore che da lui discendeva, l’uomo si erge ad unica sorgente di valori transitori, cambiandoli di volta in volta, a seconda che gli facciano comodo o che gli diano fastidio.
Valori da perseguire sono – per l’uomo che ha ucciso Dio – “il successo comunque ottenuto[…] l’esibizione provocante e provocatoria [che viene chiamata] libertà e assenza di complessi”. (G.Ravasi,”Ritorno alle virtù, la riscoperta di una stile di vita”, Mondatori, 2005, Introd.), la violazione di ogni diritto, l’arroganza della scienza, il soggettivismo e il relativismo morale che, con grande forza ha denunciato Benedetto XVI, fin dal primo giorno del suo pontificato.
Si guarda al mondo, alla vita dei popoli, alle guerre continue che travagliano le nazioni, allo scatenarsi dell’egoismo, alla lotta all’interno delle stesse famiglie, alla spaccatura verticale tra genitori e figli, allo sfaldamento di tante famiglie, al tradimento dell’amore perpetrato nei modi più lascivi e turpi, alla corruzione dei giovani e perfino dei bambini, cui vengono inculcati disvalori capaci di condizionarli per tutta la vita.
Grazie a Dio però, bisogna anche ammettere che il richiamo o il fascino delle virtù, continua a farsi sentire: se l’uomo uccide Dio dentro di sé, Dio non uccide le sue creature ma è presente in tanti cuori generosi che vivono testimoniando la loro fede, sacrificando le loro esistenze, armati della speranza, spinti dalla carità.
Una scelta che s’ impone
Tutti conoscono le parole di Gesù: “Chi non è con me è contro di me”.
Dinanzi alla sua Persona quindi non ci sono aggiustamenti di comodo. Nel corso dei secoli, Gesù Cristo è stato “segno d’immensa invidia / e di pietà profonda, / d’inestinguibil odio / e di indomato amor”. (A. Manzoni, “Il 5 maggio”).
La sua figura giganteggia e si impone – per chi intende conoscerlo nella realtà della sua vita e della sua opera – su tutti gli altri grandi della storia; su tutti gli altri fondatori di religione.
Egli ha stravolto i canoni della vita e delle culture, predicando una dottrina ineguagliabile per santità, trasparenza di concetti, smontando tutte le false certezze delle antiche religioni, abbattendo quelli che Dante – per bocca di Virgilio – chiama gli “dèi falsi e bugiardi”.
Maria, nel suo canto ispirato, nell’incontro con Elisabetta, esprime la rivoluzione di Dio in Gesù Cristo: “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore. Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati ha rimandato i ricchi a mani vuote”.
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E’ l’inno della Vergine alla vera, grande, unica rivoluzione portata da Gesù Cristo. Una rivoluzione interiore che si riflette sulle strutture del mondo e delle società, senza alcuno spargimento di sangue, tranne il sangue dello stesso Gesù, versato per i peccati del mondo.
Da quando Cristo è venuto, si può essere contro di lui ma non si può fare a meno di lui. E quanto più ci si affanna a combatterlo, tanto più il suo nome si incunea nella trama della storia umana. E quanto più lo si bestemmia, tanto più viene esaltato dalla stessa rabbia dei suoi persecutori.
Tutti hanno dovuto fare una scelta. Tutti dobbiamo, prima o poi, fare la nostra scelta.
Resto inorridito dalle espressioni del filosofo tedesco Federico Nietzsche, il quale - facendo una scelta contro, ha creduto di capire tutto di Cristo, insultandolo in tutti i modi: Non ha potuto però fare a meno di parlarne.
E’ come un chiodo fisso nella sua mente in cui la pazzia comincia a germogliare e che esploderà nell’età più avanzata.
In tanti suoi pensieri c’è come il germe di quella pseudofilosofia che nascerà e si svilupperà in Germania, sotto la guida di uno dei più biechi malfattori che l’umanità abbia mai visto.
“Se Dio voleva diventare un oggetto d’amore” – egli scrive – “per prima cosa avrebbe dovuto rinunciare a giudicare e alla giustizia: un giudice, foss’anche un giudice misericordioso, non è oggetto d’amore. Su questo punto la sensibilità del fondatore del cristianesimo non era abbastanza raffinata: era ebreo”. (F. Nietzsche, “La gaia scienza”,Arnoldo Mondatori Editore, 1978, pag. 132)
A parte quelle ultime due parole – era ebreo – che potrebbero essere il titolo del programma contenuto nel “Mein Kampf” hitleriano, restando sulla tema della scelta, non ha saputo guardare fino in fondo come quell’Ebreo, per amore, aveva dato tutto, perfino se stesso nel modo più infamante, perdonando a coloro che lo torturavano e raccomandandoli a Dio perché li perdonasse.
In Nietzsche tutto è visto nell’ottica che quanto è cristiano si oppone alla visione finale del superuomo, di un mondo ispirato alla magnifica età della civiltà greca, alla quale fa sempre riferimento, dimenticando – o volendo dimenticare – le angosce dei grandi tragici greci che, nelle loro opere, denunciano, lo stato miserabile dell’uomo e la sua innata infelicità se Eschilo afferma che “la felicità è come il sogno di un’ombra” e Sofocle aggiunge che “l’esistenza è eguale al nulla ed Euripide conclude che “non sai mai cosa vuoi, che fai, chi sei”.
Nel voler distruggere il cristianesimo Nietzsche non si accorge che quella “grecità” che tanto esalta – specie nei tragici enucleati - “è la celebrazione eloquente dello scacco di un’esistenza assurda…di una precarietà esistenziale senza possibilità di riscatto, perché tutte le azioni sono determinate dal Fato, forza cieca e misteriosa; …. Ove esiste la trasmissione ereditaria delle colpe, in quella che è stata definita la “nemesi storica”, cioè il peso di incombenti misteriose maledizioni che si riversano anche su chi, incolpevolmente, è andato contro il suo destino. (cfr: F. Gioia, “Il coraggio di sperare contro ogni speranza”, Ed. San Paolo, 2001)
Andiamo allora “in più spirabil aere”.
La scelta del cristiano
Il cristiano – o qualsiasi uomo – che voglia conoscere Gesù Cristo, deve prendere in mano i Vangeli, leggerli, studiarli, meditarli, rinvenire quei tesori di immenso amore che si celano tra le sue rigle nei loghia e negli aghia di Gesù.
E’ un fatto che chi nei secoli, ha veramente seguito Gesù Cristo, è stato un vero benefattore dell’umanità.
Chi si è ispirato al cristianesimo genuino – non adulterato da fonti diversamente avvelenate – ha dovuto ammettere che Cristo è unico, è il più grande,
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il Divino, anche umanamente, la mente pià alta che l’intera storia umana abbia potuto annoverare.
Quando a Napoleone - rinchiuso nello scoglio di sant’Elena, in mezzo all’Atlantico, dopo avere smaltito i fumi della sua precaria onnipotenza imperiale e ormai vicino alla sua morte – fu chiesto cosa ne pensasse di Gesù, anche in relazione agli altri fondatori di religione, rispose testualmente: “Mentre tutto ciò che egli ha fatto è divino, negli altri non c’è nulla, al contrario, che non sia umano. L’azione di questi mortali si limitò alla loro vita…Il Cristo aspetta tutto dalla propria morte. Si tratta forse dell’invenzione di un uomo? No, al contrario è uno strano scambio, una fiducia sovrumana, una realtà inspiegabile.
Dal primo giorno fino all’ultimo, egli è lo stesso, sempre lo stesso, maestoso e semplice, infinitamente severo e infinitamente dolce…Gesù non presta mai il fianco alla minima critica…Che parli o che agisca, Gesù luminoso, immutabile, impassibile.
Gesù è il solo che abbia osato tanto. E’ il solo che abbia detto chiaramente e affermato senza esitazione egli stesso di sé: io sono Dio!” (Napoleone Bonaparte, “Conversazioni religiose” Editori Riuniti, 2004, pagg. 66-81).
A parte ogni altra considerazione, scegliere per Cristo, significa scegliere per la vita umana e renderla degna di essere vissuta. Altrimenti ogni uomo è soggetto alla “volontà di potenza” nietzschiana; incappa nelle maglie del “non-senso”, attraverso lo spazio della sua vita girando a folle, senza mai trovare una mèta.
Scegliere per Cristo significa scegliere per l’uomo, qualsiasi uomo, senza distinzione alcuna perché proprio Cristo, facendoci figli di Dio, ci ha resi tutti fratelli.
La Quaresima: tempo dell’incontro con Gesù Cristo
Va in cerca il Signore, delle tante pecore smarrite. Gira per le strade del mondo e invita, sorride, incoraggia, abbraccia, perdona.
Se non ci si oppone a Lui, rompe con la sua forza divina, le catene e le trappole che l’Avversario ci ha costruito addosso: dipana le maglie dei nostri peccati, ci solleva dalla melma nella quale , per anni forse, abbiamo vissuto; ci toglie il fetore di sterco che si è incrostato nella nostra anima, deturpando anche il corpo e ci risolleva verso gli orizzonti più alti e ossigenati della virtù e della grazia.
Quiesta è la Quaresima: tempo di riflessione; momento di pausa nell’imbarbarita vita moderna; soffio di primavera divina, dopo l’inverno che ci ha ricoperto delle brume della colpa.
E la Chiesa ci invita alla preghiera; ai sacramenti: alla Confessione, lavacro nel sangue del Signore; all’Eucaristia, nutrimento della nostra anoressica vita spirituale; all’impegno verso gli altri, i più deboli, gli abbandonati, gli ammalati, i soli, i delinquenti, gli stranieri… un’infinita teoria di volti e di situazioni presso cui spesso noi passiamo indifferenti e strafottenti.
Voglio terminare queste riflessione affidandomi alla voce calda e appassionata di un grande poeta spagnolo, da non molti conosciuto, ma che ha saputo imprimere, in un’opera veramente grandiosa – Il Cristo di Velazquez – sentimenti di altissimo liricità ma soprattutto di appassionato amore per Cristo. Nell’orazione finale, egli così si esprime:
Cristo, Tu che taci per udirci,
dei petti nostri il singhiozzare ascolta!
…………………………………
A Te, Cristo
Gesù, leviam la voce fin dal fondo
Del nostro abisso di miseria umana.
……………………………… ……
Chiediam, Signore, che le vite nostre
Tu tessa nella tunica celeste
Di Dio, sopra il telaio dell’eterno
………………………………………
Vieni e vedi, Signore: imputridito
È il seno mio; vedi come patisco
Io che Tu ami; sei resurrezione
E vita T, chiamami a Te, Signore…
………………………………………
Dammi, Cristo,
che quando alfine vagherò sperduto
uscendo dalla notte tenebrosa
ove sognando il cuore s’impaura,
entri nel chiaro giorno sconfinato,
con gli occhi fissi sul tuo bianco corpo,
Figlio dell’Uomo, Umanità perfetta,
nell’increata luce che non muore;
gli occhi, Signore, fissi nei tuoi occhi,
e in Te, Cristo, perduto, il guardo mio.
Don Carmine Scaravaglione